Wikipedia definisce il Native advertising come “una forma di advertising online che assume l’aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitata, cercando di generare interesse negli utenti. L’obiettivo è riprodurre l’esperienza utente del contesto in cui è posizionata, sia nell’aspetto che nel contenuto.”
Sono tempi in cui si pensa (sia in azienda, che nei giornali, che nei centri media) che essere con il native, anziché con i banner, e quindi inseriti in mezzo ai veri contenuti, corrisponda a trasmettere un valore agli utenti di un editore, e sia sufficiente a placare la loro furia di bloccare banner intrusivi e irrilevanti.
Il branded content sta al native advertising come la passata di pomodoro sta al barattolo. Dovrebbe essere il contenuto di valore dentro l’involucro native, cioè adeguato all’ambiente digitale circostante. “Dovrebbe”: in quanto invece molto spesso (e sempre più spesso, mi sembra) dentro il barattolo native – mimetizzato tra quelli con il[…]
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